Il reato di brigantaggio veniva punito con la fucilazione,
oppure con i lavori forzati a vita in caso di circostanze attenuanti.
Prevedeva il domicilio coatto per gli oziosi, i vagabondi e le persone sospette.
Furono istituite Compagnie di Volontari a piedi od a cavallo.
Il reato di brigantaggio veniva giudicato dal Tribunale Militare,
in deroga agli articoli 24 e 71 dello Statuto Albertino,
che garantivano il principio di uguaglianza di tutti i sudditi dinanzi alla legge e la garanzia del giudice naturale.
La legge fu utilizzata anche per combattere il fenomeno della renitenza alla Leva Militare.
Riguardo al fenomeno della repressione della renitenza alla leva,
divennero perseguibili non solo gli stessi renitenti,
ma anche i loro parenti e, persino, i loro concittadini,
che nella pratica avvenne attraverso l'occupazione militare di città e paesi.
Alla sospensione dei diritti costituzionali, dunque,
si accompagnavano misure come la punizione collettiva per i reati dei singoli
e il diritto di rappresaglia contro i villaggi.
Coloro i quali venivano catturati con l'accusa di brigantaggio,
fossero essi sospettati di essere ribelli o parenti di ribelli,
potevano essere passati per le armi dall'esercito, senza formalità di alcun genere.
In sostanza, la legge Pica non faceva alcuna distinzione
tra briganti, assassini, contadini, manutengoli, complici veri o presunti.
La legge Pica, fra fucilazioni e arresti,
eliminò da paesi e campagne circa 14.000 briganti o presunti tali.
Le pene comminate ai condannati andavano dall'incarcerazione, ai lavori forzati, alla fucilazione.
Veniva punito con la fucilazione (o con i lavori forzati a vita, concorrendo circostanze attenuanti)
chiunque avesse opposto resistenza armata all'arresto,
mentre coloro che non si opponevano all'arresto potevano essere puniti con i lavori forzati a vita
o con i lavori forzati a tempo (concorrendo circostanze attenuanti),
salvo, però, maggiori pene, applicabili nel caso in cui costoro fossero stati riconosciuti colpevoli di altri reati.
Coloro che prestavano aiuti e sostegno di qualsiasi genere ai briganti potevano essere,
invece, puniti con i lavori forzati a tempo o con la detenzione (concorrendo circostanze attenuanti).
Veniva punito con la deportazione chiunque si fosse unito,
anche momentaneamente, ai gruppi qualificati come bande brigantesche.
Erano, invece, previste delle attenuanti per coloro i quali si fossero presentati spontaneamente alle autorità.
Veniva, infine, introdotto anche il reato di eccitamento al brigantaggio.
La legge prevedeva, inoltre, la condanna al domicilio coatto per i vagabondi,
le persone senza occupazione fissa, i sospetti manutengoli, fiancheggiatori, fino a un anno di reclusione.
Nelle province sottoposte alla legge Pica, venivano istituiti i Consigli Inquisitori
(i cui componenti erano il Prefetto, il Presidente del Tribunale, il Procuratore del Re e due cittadini della Deputazione Provinciale)
che avevano il compito di stendere delle liste con i nominativi dei briganti,
individuando così i sospetti che potevano essere messi in stato d'arresto o, in caso di resistenza, uccisi:
l'iscrizione nella lista, infatti, costituiva di per sè prova d'accusa.
In sostanza, veniva introdotto il criterio del sospetto:
in base a esso, però, chiunque avrebbe potuto avanzare accuse,
anche senza fondamento, anche per consumare una vendetta privata.
La legge, inoltre, aveva effetto retroattivo:
in altre parole, era possibile applicare la legge Pica anche
per reati contestati in epoca antecedente la promulgazione della legge stessa.
Fonte: Banditi e Briganti, Enzo Ciconte, Rubbettino Editore, Soveria Mannelli
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