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Il terremoto dell'8 Marzo 1832
nel Marchesato

(estratto da: Storia di Ferdinando II, Re del Regno delle Due Sicilie, dal 1830 al 1850 - Giovanni Pagano, Napoli 1853)

Nell'ottava luce di Marzo del 1832 nessun segno di prossima catastrofe sulla catanzarese regione si osservava.
Placido, e sereno il Cielo , cheto l'aere, indocilito e terso il mare,
spensierati i Calabresi ed alle consuete blandizie o uffici della vita intesi, gli animali cui l'istinto suol rendere vigili e nunzi all'uomo di tale flagello,
quieti e tranquilli, tutti gli elementi adunque erano in pace.
Mensogniere apparenze, la terra chiudea nel suo grembo tristi e potenti furori che tosto con orribile sconvolgimento della natura avrebbe sbrigliati.

Ed ecco che in sulle 22 ore italiane del cennato giorno la terra lievemente dapprima,
e poscia gagliardamente di tratto in tratto si scuoteva, ma non tanto che gravi iatture arrecasse;
ma scorsa di un'ora e mezzo la notte orrendi forieri orrendo fenomeno annunziavano.
Un intenso, universale, e cupo rimugghiamento sul fiume Corace nella fatale ora udissi,
dopo il quale la terra violentemente fu agitata, e scossa per lunga ora, ed ogni cosa fra spaventi, dolori, e fragore, e ruine avvolse.

La scossa principale avvenne alle ore 01:35, per 11 lunghissimi secondi, di grado 6,6 Richter e X Mercalli.

Tutti i paesi che sorgevano tra i fiumi Neeto e Corace in un istante giacquero.
Cutro, Boccabennarda, Rocca di Neeto, Papanico, Marcedusa e S. Mauro, divennero in men che non si dice un mucchio confuso di orrende macerie.
Cotrone, Santaseverina, Policastro, Altiliella, Mesoraca, Belcastro, Caropani, Simari, Soveria, Sellia, e Catanzaro patiron molto danno.
I distretti di Catanzaro e di Cotrone furono il centro di moto, e il campo dei disastri,
ma gli scuotimenti si estesero persino nella Sicilia, e nella Puglia.

Vittime: 60 a Cutro, 34 a Roccabernarda, 29 a Petilia Policastro,
8 a Santa Severina, 17 a Mesoraca, 13 a Marcedusa,
10 a Roccaferdinandea, 8 a Scandale, 1 a Isola Capo Rizzuto.

Molte maniere di movimenti ebbe il tremuoto, ma l' ondulatorio più frequente, e gagliardo.
Ai lati del fiume Targine la terra largamente apertasi, eruttò acqua bollente, e melma , la quale costituì dei banchi di arena biancastra.
Altre aperture nelle fertili e ridenti campagne del Marchesato si dischiusero, nelle quali pregevoli e deliziose casine inabissarono.
Una magnifica casina fa dalla violenza del tremuoto partita in due metà,
delle quali una allontanata per più di 50 palmi dal sito primiero restò in piede, e l'altra ridotta in minuti tritumi.

Rocca di Tacina, piccola borgata, dopo essere stata balestrata mezzo miglio lontana dal suolo ove era edificata,
fu smantellata sino dalle fondamenta, e talmente stritolata, che un mucchio d' infrante pietre coverte di calcina polverata all'estremo disfacimento avanzò.
Alcune rupi si spezzarono, e grandi massi con grandi rovine ne rotolarono pel dorso delle colline fino al piano, o alle valli.

Nè solo la terra, ma eziandio il mare e il cielo erano irati.
II fiotto ingrossato e rimugghiante si alzò sul suo livello, segnatamente nella foce del Targine, invadendo le sponde con larga inondazione.
Frequenti lampi solcando la fitta oscurità, fuggevolmente quella grave catastrofe irraggiavano.
Ai fragori del tremulo univansi i rombi delle agitate onde, il rovescio d'impetuosa pioggia,
lo scroscio di furiosa grandine, lo schianto delle saette e il fracasso del vorticoso vento;
le calabresi valli del supremo ed in composto fragore, orrendamente echeggiavano.

A causa del maremoto, conseguente al terremoto, si allagò
una vasta zona tra Steccato di Cutro e Catanzaro Lido;
si contarono complessivamente 234 vittime.

In mezzo a tanto furore della irata natura, miserande le ore sui miserandi Calabresi si svolgevano.
Molti, e forse più felici, moriron di tratto pesti, e sfracellati in mezzo a quei subiti precipizi;
moltissimi rimaser feriti o contusi, tutti esterrefatti, intronati, stupidi, allibiti come suol succedere in mezzo alle subitanee e straordinarie impressioni.
I lamenti dei feriti e degli agonizzanti, le strida della paura, le grida dei chiedenti aiuto erano da quell'orrendo fracasso d'infuriati elementi dispersi;
si che ciascuno come potè il meglio ai propri casi accorse, o nella sola compagnia della propria sventura restò.
I più all'aperta campagna corsero, e quivi per la pioggia, la grandine, i lampi, i tuoni e
il periglio che la terra sotto ai loro piedi si spalancasse, erano più che viventi, agonizzanti.

Intanto, spuntata la nuova aurora, e scemato cosiffatto furore, ed inanimiti i Calabresi,
variamente alla propria salute, ed alle particolari tendenze, e circostanze intendevano.
Gli scampati, guardavan con orrore le proprie miserie, ed ormai volgevano il pensiero e lo sguardo alle rovine
che rinchiudevano i cari corpi del padre, della madre, dei fratello, del figlio;
e trepidi e addolorati cominciarono ad aggirarsi per le tristi macerie,
colla speranza di trar vivi o semispenti gli amati parenti, ed aiutarli, o dar loro sepoltura se morti.

Al quale proposito narrerò vari fatti di memoria degni.
Un G. Mottace era poggiato sur una finestra del suo palazzo, quando esagitata repente la terra scrolla il muro,
e tutto pesto si trova sbalzato lungo dalla sua dimora e dall'amata famiglia.
Trasse con grave cordoglio nel vegnente mattino a disgombrare le ferali macerie dai corpi o dai cadaveri della consorte e dei figli;
ma le continuate scosse di tremuoto la pietosa sollecitudine attraversarono;
nella dimane però fra grandi pericoli dissotterrò i figli, e la moglie ormai spenti,
e nell'attitudine di costei eravi ancora un'argomento del materno affetto;
poichè fu rinvenuta atteggiata in modo come se volesse garentire il figlio dalle cadenti ruine:
fortissimo affetto su fievolissimo mezzo poggiato, ella e il figlio in affettuoso amplesso perirono.

In quell'istesso giorno una voce fioca, e lamentevole chiedente soccorso, usciva dai confusi ammassi;
ma niuno osava avvicinarsi perchè scossa era la terra frequentemente, e per lampi, folgori, e dirotta piova tempestoso il cielo.
Intanto posato alquanto l'impeto della natura intorno al mezzodì, si accorse al luogo da cui la voce emanava,
e man mano scostate le macerie, si rinvenne una infelice giovanotta ricoperta dalla trista mora a mezzo busto,
poichè una trave sostenendo altri sfasciumi teneale illese le parti più vitali.
Ritornata in luce tutta smarrita, ed esterrefatta , assicurava di non aver sofferto nulla, e chiedeva continuamente acqua.
Vuotò la prima, la seconda, e la terza coppa, e poco stante passò di questa vita.
Un'altra giovane di diciassette anni, madre di una bimba che poppava, alle prime scosse fuggi, lasciando la infelice pargoletta immersa nel sonno,
ma in un istante, prevalendo l'amor filiale a quello della propria persona, quasi dissennata, emesso un grido, si precipitò nelle ruine, e scomparve.
Un'altra giovane, moglie di un artigiano, curava di salvar se e quattro suoi teneri figliuoli,
ma non potendolo nello stesso tempo, senza lasciare esposti gli uni per salvare gli altri,
tenevali tutti stretti in forte e tenero amplesso, quando fu traboccata e sepolta in quei precipizi.
Un villanzone, che nell'ora fatale trovavasi alla custodia di due bovi in un giardino sottostante alla sua casetta,
vide col disfacimento delle domestiche mura la stragge della sua numerosa, ed amata famiglia,
nè parendogli di poter sopravvivere a cotanto dolore, si balestrò volontariamente nelle ruine, e vi perì.

Pertanto i campati da quella catastrofe eran minacciati di fame, perchè diroccati i mulini, guasti o dispersi, o ricoperti dalle macerie i viveri;
nondimeno la carità dei particolari e quella del Governo non furon tarde nè tiepide al soccorso;
cosicchè man mano si ristaurarono i danni;
sugl'infausti avanzi dei nabissati paesi (tanto puote negli animi umani amor di patria) sursero le nuove dimore, ed il tempo,
il più solido di tutt'i conforti, rasserenava i cuori dalla patita sventura.

Danni: Cutro, gran parte abitato e chiese; Petilia policastro, 106 edifici crollati; Santa Severina, 56 edifici crollati;
Caccuri, 15 edifici crollati; Altilia, 2 edifici crollati e 11 danneggiati; Crotone 677 edifici danneggiati;
Cropani 156 edifici danneggiati; San Mauro Marchesato, 60 edifici danneggiati; Zinga, 49 edifici danneggiati;
Isola-Castelle, 23 edifici danneggiati; Catanzaro, crollate Chiese, Liceo ed Ospedale.

In seguito al terremoto, venne costruita una nuova Mesoraca,
spostata più a sud e ad ovest, con la creazione di nuovi rioni a ridosso delle mura di cinta e
di una frazione staccata dal paese, Filippa.

Intorno alla cagione del calabrese sovvertimento furon varie le opinioni, alcuni per lo elettricismo, altri pel vulcanico fuoco inclinando;
ma sebbene le causa dei tremuoti fossero, pari a quelle di molti naturali fenomeni, avviluppate in dense tenebre, nondimeno,
vagliando tutte le circostanze che intervennero in quella orrenda agitazione,
non è a dubitare, che sì l'elettricismo, che le influenze vulcaniche contribuirono.
L'esclusivismo è mai condannevole, precisamente nella oscura materia delle naturali cagioni.
Il terrestre sconvolgimento dopo la narrata catastrofe quietò,
ma non siffattamente che negli anni avvenire di quando in quando
ora in una regione ed ora in un'altra del reame lievemente non si ridestasse;
anzi talvolta rannodati i suoi furori, con subiti ed impetuosi precipizi scorrazzò,
arrecando terrore, ferite, morti, miserie, guasti, o distruzioni di paesi, ed accidenti strani.
Nè solo terremoti, e bufere in questo nostro regno avvennero;
ma eziandio orrori di alluvioni, furori di vulcani, ed altre tristizie ed impeti di natura,
dei quali non parlo sì perchè troppo a lungo mi trarrebbe il doloroso tema;
sì perchè sono per altre pagine conti;
e sì perchè ormai è tempo che la mia penna dai sconvolgimenti di natura ai sconvolgimenti della società passi.

La Chiesa di Petronà subì danni. Alla metà dell'ottocento, Il Sindaco ancora sollecitava la riparazione della chiesa parrocchiale.

Festa Madonna del Voto: con il Decreto Comunale del 1832, il Sindaco del Comune di Petronà e l'Arciprete
si obbligavano a celebrare in perpetuo la festa votiva di Maria SS. Del Rosario il giorno otto del mese di marzo di ciascun anno,
con svolgimento di processione religiosa per la grazia ottenuta dalla Madonna in occasione del terremoto.

 

Fonti:
Giuseppe Marino, Il terremoto del 1832 nel Marchesato di Crotone - I danni e la ricostruzione di Caccuri
Giovanni Pagano, Storia di Ferdinando II, Re del Regno delle Due Sicilie, dal 1830 al 1850; Napoli 1853
wikipedia.it

 


 

 

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